Chiudete gli occhi e provate ad immaginare dinanzi a voi un albero. L’albero ha le sue radici, il tronco, le foglie, i rami e la chioma. Per comprendere a fondo il concetto di motivazione e la sua origine cerco di paragonarlo ad un albero: il tronco potrebbe essere paragonato alla consapevolezza di noi stessi, la nostra storia di vita, le nostre risorse e i limiti, le foglie, i rami e la chioma sono i nostri obiettivi, le nostre aspettative, le nostre aspirazioni. Ma, riflettendo, quale parte dell’albero ha la funzione primaria di sostenere e nutrire le foglie-i nostri obiettivi, il tronco-la nostra consapevolezza, la chioma-le nostre aspirazioni? Le radici rappresentano la motivazione. Qual è la morale? In sostanza questo esempio serve a far capire che se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi, avendo la consapevolezza dei nostri disagi o malesseri, alla “radice” di tutto è necessario essere motivati. Un albero per crescere bene e con una chioma rigogliosa ha bisogno di forte nutrimento dalle radici, una persona per raggiungere un proprio scopo ha bisogno di aver ben radicata la sua motivazione.
Se partiamo dal presupposto di avere consapevolezza di un disagio, di una problematica, di un disturbo ben poco si fa se non c’è la motivazione al cambiamento, al miglioramento di se stessi. Dunque, se siete molto motivati a fare qualcosa, siete già sulla buona strada verso il successo, al contrario iniziare qualcosa quando non si è pronti, può portare all’insuccesso. Non è importante trovare solamente la motivazione per iniziare una cura o un percorso psicologico che richiede molto impegno e tanta costanza, ma anche riuscire a mantenerla durante il processo di cambiamento. Essere motivati nella vita è essenziale perché si arriva con determinazione agli obiettivi che si vuole raggiungere. E’ lo stesso quando si è motivati ad intraprendere un percorso psicologico e/o terapeutico. Il primo passo per guarire da un disturbo o da un disagio è quello di avere delle motivazioni adeguate per cambiare. Ma quando si è pronti ad intraprendere un percorso psicologico e/o terapautico? Come fare a capire se si è realmente motivati? Quando ci si reca dallo psicologo si sta attivando la parte più forte di noi stessi e non quella più fragile come comunemente si pensa. Riconoscere un proprio momento di difficoltà e rivolgersi ad uno psicologo vuol dire essere consapevoli di sé, valutare i propri limiti e le proprie ferite, e sentire la necessità di trasformarle in risorse. Lo psicologo è un mezzo, il benessere è il fine. Si parla tanto e spesso di autostima, sui giornali, su internet, sui libri e infatti in questo articolo mi limiterò ad offrirVi alcuni suggerimenti per poter potenziare o aumentare l’autostima qualora ne sentiste il bisogno.
Invito tutti i lettori di questo articolo a riflettere sul proprio valore e sulla importanza di volersi bene. Vorrei sottolineare che l’autostima è un fattore dinamico, cioè che evolve, cambia nel tempo subendo anche notevoli variazioni nel corso della vita. E’ la percezione del proprio valore, delle proprie capacità. Non si nasce con la giusta autostima piuttosto essa è come una pianta, va coltivata, va alimenta, va annaffiata durante il corso dell’esistenza. Quando si parla di autostima sana? Quando ci rapportiamo a noi stessi in modo positivo, in modo realistico, amplificando ciò che è positivo e migliorando quello che non lo è. Accettiamo, controlliamo e riconosciamo i nostri difetti e i nostri limiti, valorizzando le nostre potenzialità e la nostra autenticità e confrontandoci con noi stessi e con gli altri. L’autostima non viene quindi nutrita solo dagli apprezzamenti che riusciamo ad ottenere dall’esterno e da quello che gli altri pensano di noi, ma anche soprattutto da ciò che noi abbiamo interiorizzato e che pensiamo di noi stessi (E.Giusti, A.Testi 2006). Avere una sana autostima porta quindi a sentirci bene, a valorizzare le nostre risorse, le nostre qualità e questo è il primo passo per migliorare la nostra autostima. Si tratta di imparare ad analizzarsi meglio, di mettere a fuoco i nostri pregi e focalizzarsi solo su quelli. Fondamentale è rivedere i propri ideali, i propri obiettivi realistici, le proprie ambizioni. Quindi stabilisci obiettivi raggiungibili e reali e poniti queste domande: -“Quali risorse ho per raggiungerli”? -“Quali sono gli eventuali ostacoli che mi impediscono di raggiungerli”? -“Cosa voglio ottenere?” -“Cosa intendo fare per realizzare questo obiettivo?” Ma cosa fare quando, invece, sono gli altri che ci portano ad sentirci inadeguati, insicuri, dubbiosi su noi stessi? Come affrontarli? Qual è il giusto modo di reagire? Credo che alla base dell’autostima ci sia un concetto molto importante radicato fin dagli albori dell’umanità, la comunicazione prima con noi stessi, il nostro dialogo interiore e poi con gli altri. Esempio: quando qualcuno ci rivolge una critica, cosa diciamo a noi stessi? Cosa proviamo? E come reagiamo? Quindi come comunichiamo con noi stessi? Vi invito, dunque, a porvi queste domande: secondo voi la critica che vi ha rivolto quella persona è costruttiva o distruttiva per voi stessi? Cioè è una critica utile che potrebbe portare ad un miglioramento di voi stessi, a spronarvi e a motivarvi di più o è una critica che ha l’intento di ferirvi? Ci avete pensato mai? Distinguere questi due aspetti è già un primo passo verso la consapevolezza di noi stessi e l’accettazione dei propri limiti. Vi lascio ad un esempio molto semplice: Mettiamo il caso di un marito che dice alla moglie che non è in grado di cucinare perché sbaglia gli ingredienti. Come pensate possa sentirsi la moglie? Quali pensieri potrebbe avere? Come reagirebbe? Questa è secondo voi una critica costruttiva o distruttiva? In questo mio articolo non vorrei tanto soffermarmi sul concetto teorico di frustrazione e delle numerose ricerche effettuate dagli psicologi nel corso degli anni, quanto più sul modo che una persona ha di percepire il suo senso di frustrazione.
Vorrei invitare i miei lettori e chiunque ne abbia voglia, a riflettere sul proprio stato d’animo quando si sente frustrato, come cerca di affrontarlo e con quali strategie. A tutti noi nella vita è capitato di provare un senso di fastidio, di disagio in determinate situazioni. E’ chiaro che la stessa situazione frustrante può suscitare risposte molto diverse tra le persone. Ma quando una persona si sente frustrata? Che cosa avviene nella psicologia, nella mente di una persona quando prova frustrazione? La frustrazione si verifica quando un comportamento motivato viene impedito, ostacolato;quando si presenta una dilazione nel soddisfacimento dei bisogni, quando è in atto un conflitto tra due tendenze inconciliabili. Per esempio: ci sono situazioni in cui non puoi avere quello che vuoi, o sei costretto a rinunciare a qualcosa, o sei costretto a fare qualcosa che non ti va di fare. Come ti senti in queste situazioni? Sicuramente sono occasioni che troverai spiacevoli o noiose o fastidiose quindi proverai frustrazione. La frustrazione è un qualcosa che si può imparare a tollerare, ristrutturando il tuo modo di pensare e correggendo i tuoi pensieri estremamente negativi, imprecisi e distorti mettendoli in discussione come in questi esempi: -“E’ difficile, ma non impossibile” -“Non lo so fare, ma sono capace in altre cose” -“E’ faticoso, ma posso sopportarlo” -“Mi disturba abbastanza, ma non durerà molto” -“E’ spiacevole, ma non è una tragedia” E’ importante imparare ad adattare il tuo dialogo interiore alle specifiche situazioni. Con un po’ di allenamento ci riuscirai. Tollerare la frustrazione non vuol dire accettare passivamente tutte le cose sgradevoli. Significa piuttosto essere in grado di impegnarsi in cose fastidiose, faticose o difficili per poter raggiungere il proprio obiettivo (M.Di Pietro, 2011). Durante la mia esperienza lavorativa e professionale, ho avuto modo di interagire e colloquiare con persone depresse. Uno dei tanti aspetti che accomuna la maggior parte di questi pazienti, è la mancanza di energie, una sorta di "paralisi della volontà" che porta a bloccarsi e a non riuscire ad alzarsi .
Mi sono sempre chiesta cosa ci fosse dietro a tutto questo: vegetare di fronte ad una vita senza stimoli, ne progetti, ne obiettivi. -"Che senso ha viverla?"-, mi dicono. Tutto ciò porta a non affrontare la routine quotidiana perché stanchi di viverla, a non alzarsi dal letto perché stanchi di vedere semplicemente il sole, a non relazionarsi con persone attorno perché stanchi di parlare e/o di ascoltare. Ed ecco che il male oscuro prende il sopravvento e tu ti senti inadeguato, senza risorse, senza speranze, sei demotivato, privo d’ interesse e di piacere, ti senti solo, ti senti in gabbia e vorresti urlare al mondo quanto stai male. Ti senti inutile, negativo, sfiduciato ed impotente. Quando chiedo ai pazienti come affrontano tutto questo, con quali strategie e soprattutto che significato e che spiegazione danno a questa sofferenza e a quello che li capita, mi accorgo che uno dei tanti errori e' l' ignorare sempre gli aspetti positivi. La persona sembra totalmente abituata a prestare attenzione e a concentrarsi solo sulle cose spiacevoli e negative e di conseguenza ha la tendenza ad interpretare come negativi anche quegli aspetti positivi. Ecco che subentrano le classiche frasi: “Vedo tutto nero"- “Non ce la faccio più”"- “Ho fallito". Nella psicoterapia cognitivo comportamentale i pensieri e le convinzioni negative su di sé, sul mondo e sul futuro hanno un ruolo determinante nell’esordio e nel mantenimento della depressione. Il lavoro su questo disturbo (V. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, DSM-IV) consiste in primis nel focalizzarsi sui modi in cui il soggetto interpreta gli eventi che accadono, vi reagisce e valuta sé stesso. Insieme al paziente s'identificano e modificano i pensieri e le convinzioni negative che ha su se stesso, sul mondo e sul futuro, utilizzando specifiche tecniche cognitivo-comportamentali. Il depresso, secondo A. Beck, si deprime perché distorce la realtà e non distorce la realtà perché è depresso. La condizione di depressione è il risultato delle sue aspettative negative nei confronti della realtà esterna, delle opinioni distorte di sé e della mancanza di fiducia in ciò che può portare il futuro In qualità di psicologa ad approccio cognitivo comportamentale suddivido il trattamento in 2 fasi: 1 .-FASE DI ASSESSMENT cioè la raccolta dei dati ai fini di una valutazione non solo attraverso il colloquio, ma anche attraverso l’ utilizzo di vari test, moduli e grafici. 2.-FASE DI DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI - si ricorda sempre il passaggio dal "se reale" ("come sei") a se ideale ( "come vorresti essere") e si aiuta il paziente a decatastrofizzare e a non generalizzare il fallimento (“è andata male questa cosa, non tutto”.) PRIMO PASSO: “IL FARE" TECNICHE-COMPORTAMENTALI -Scheda di registrazione settimanale delle attività ( si cerca di programmare le attività del giorno, ogni ora della giornata, da quando il paziente si sveglia a quando va a dormire. Si comincia con l’attività che si considera più semplice e si procede verso quelle più complesse. ) -addestramento delle abilità sociali, training di assertività. (Testare in vivo). -biblioterapia (si consiglia al paziente libri utili a capire meglio la terapia e le sue tecniche nonché i suoi problemi). -tecniche di rilassamento SECONDO PASSO: " IL PENSARE REALISTICAMENTE" TECNICHE COGNITIVE: ci si abitua a osservare la propria mente per passare in rassegna tutti i pensieri . “Cosa ti passa nella mente nei precisi momenti di depressione"?. Si tratta di pensieri che sono diventati AUTOMATICI ossia, secondo A.Beck," verbalizzazioni interiorizzate", per meglio dire " auto dichiarazioni" . Da questi pensieri s’impara a notare che sono negativi che sono distorsioni della realtà e che il soggetto e' ABITUATO a considerare tali distorsioni come cose vere. A questo punto il lavoro con il terapeuta sta nel correggere i pensieri dis-funzionali in pensieri più realistici e che corrispondano ad una visione più OBIETTIVA della realtà. -spiegazione del METODO A-B-C -tecnica della concettualizzazione alternativa -trasformazione degli svantaggi in vantaggi -errori di osservazione e di comprensione della realtà FINE TRATTAMENTO: " visione d insieme di quanto fatto in questo programma" Pertanto il cambiamento nel modo di pensare porterà ad una regolazione del tono dell’umore e a modificazioni dei sintomi, che a loro volta influiranno positivamente sui pensieri. Nella vita di tutti i giorni, mi capita molto spesso di conoscere persone che hanno determinate reazioni nel momento in cui mi chiedono che lavoro faccio. "Io faccio la psicologa" rispondo. Appena pronuncio questa parola noto varie risposte. C'è chi mostra interesse o curiosità, c’è chi invece, nella maggior parte dei casi, mostra stupore, paura, scetticità, tensione. Nelle credenze comuni lo psicologo è visto come una persona che “legge nella mente altrui", quasi paragonato ad un santone o mentalista che dà l'illusione e l’impressione di poter esercitare telepatia, controllo mentale, ipnosi o precognizione. Siamo molto lontani da questa credenza comune. La realtà è ben diversa. Stesso discorso per quanto riguarda il "famoso lettino". E' vero, gli psicoanalisti usano il lettino ma si tratta di un approccio specialistico quale è quello psicodinamico, freudiano per intenderci. Non tutti gli psicologi usano il lettino, ad esempio io uso una semplice scrivania per avere un rapporto vis a vis con il mio paziente; il mio approccio che è' quello cognitivo comportamentale, richiede questo. Tutto dipende dal tipo di approccio e di specializzazione che uno psicologo intende seguire nel corso della sua professione.
Vorrei dunque, con questo articolo sfatare il mito dello psicologo e trasmettere ai miei lettori la vera importanza della figura dello psicologo, chi è e di cosa si occupa. Molto spesso, anzi da anni e anni, gli interlocutori che ho di fronte mi chiedono: "allora hai capito chi sono?" "secondo te che personalità ho?" "devo stare attento a come parlo e a cosa dico e a come mi muovo". “Mi stai studiando". Sottolineo che essere psicologi non significa possedere la sfera di cristallo, non significa avere " poteri magici"ne tantomeno avere la bacchetta magica. Lo psicologo non è' colui che ha in tasca la soluzione ai tuoi problemi, bensì e' un professionista, appassionato di conoscenza umana, che ti supporta e ti guida in un preciso percorso affinché possa trovare TU la soluzione ai tuoi problemi. In questo percorso sei sempre e solo Tu l'artefice del tuo cambiamento e del tuo miglioramento. L istruttore di scuola guida insegna a guidare posizionandosi affianco al guidatore, ma poi è la sola persona che deve guidare la macchina verso una direzione precisa con le apposite marce, quindi con gli strumenti appena acquisiti. Molti si chiedono:"... Allora perché non prendere in considerazione un amico che magari ti fornisce consigli gratuitamente?" Be, c’è un abisso! dico sempre che lo psicologo funge da "contenitore" ai problemi degli altri. Possiede specifici strumenti di lavoro come l'ascolto attivo, l’empatia, il dialogo, rispetta tempi di ciascun individuo, e cerca, attraverso l’uso di specifiche tecniche e strategie, di far guardare le cose sotto prospettive diverse, riflette, ascolta, osserva, rielabora, cerca di capire il mondo della persona con tutte le sue sfumature. Nel mio lavoro, molto spesso, mi accorgo che le persone quasi pretendano da me la soluzione a tutti i loro disagi e sofferenze. In realtà non è così, nessuno ha la soluzione ai problemi se prima non raggiunge la consapevolezza, la motivazione, la conoscenza di se stessi e soprattutto dei-propri-obiettivi. Vorrei inoltre sfatare un altro mito: molti mi dicono: "Ma quanto costa andare da uno psicologo"? io rispondo sempre che per il proprio benessere psicologico non c’è prezzo, o qualsiasi altro pagamento che si possa fare per stare bene e migliorarsi. Faccio un piccolo esempio: a tutti, chi più o chi meno, e' capitato nella vita di avere una carie ai denti. Se ve ne accorgete, cosa fate? C'è chi la cura e va dal dentista, c'è chi invece, per un motivo o per un altro, teme il dentista e decide di non andarci. La morale? Se la carie non viene curata in tempo che fine farà la vostra bocca? Quali possono essere le conseguenze? In quel caso cercate di temporeggiare e "mantenere" un problema. Stessa cosa per la salute mentale. Se una persona riesce a raggiungere la consapevolezza che c'è qualcosa in lei che non va e quindi ha una probabile sofferenza o attraversa un delicato periodo, ha due possibili vie da scegliere: rimanere così, nella sua sofferenza e quindi avere uno stile di vita disadattivo, oppure scegliere di cambiare. E' una scelta di vita e questo ha un prezzo, il prezzo del cambiamento. Quindi, attraverso una ristrutturazione dei pensieri e delle emozioni e il raggiungimento di un comportamento più funzionale e costruttivo, si può arrivare a trasformare la sofferenza o il disagio o una crisi in una risorsa, in una sorta di trampolino di lancio per un miglioramento della propria qualità della vita e del proprio benessere psicologico. Il passaggio dalla sofferenza al raggiungimento del proprio benessere interiore, include un attento e preciso lavoro di analisi e valutazione affinché possa la persona raggiungere gli obiettivi prestabiliti e i risultati attesi. Lo scopo principale della stesura dei miei articoli è quello di riuscire a creare degli spunti di riflessione su alcune tematiche inerenti la psicologia, affinchè il lettore possa scoprire o ri-scoprire dentro di sé uno spazio di conoscenza e consapevolezza.
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AUTOREDott.ssa Natalia Villani Archivi |